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Esse furono di fatto un terreno di esercizio progettuale,

che in numerosi casi raggiunse dei livelli qualitativi molto

significativi.

Le funzioni da prevedere per questi edifici furono codifica-

te in modo progressivo e trovarono una chiara espressio-

ne in occasione dei numerosi concorsi di progettazione or-

ganizzati.

Ogni struttura doveva ospitare, per quanto possibile, oltre

agli uffici di partito, attività culturali, sportive, ricreative,

associative, nonché servizi di ristorazione e, in alcuni casi,

anche sanitari.

Dunque gli spazi che per tali scopi venivano predisposti

avevano alcune caratteristiche costanti, come la presenza di

una sala di ampie dimensioni, altri locali utilizzabili per at-

tività varie, uno spazio ristoro, alcuni vani da destinare alla

funzione di ufficio, una discreta dotazione di servizi igieni-

ci. Insomma si trattava di “Centri culturali polivalenti” ante

litteram con una significativa vocazione aggregativa.

Sostanzialmente, anche in presenza di soluzioni progettuali

diverse, una certa versatilità spaziale pareva essere assicura-

ta, come pareva una costante stilistica la stretta connessio-

ne fra spazi interni e involucro esterno.

L‟immagine che in generale se ne ricava è quella di ambien-

ti abbastanza ampi e spaziosi, caratterizzati però in alcuni

casi da una certa difficoltà di partizione, pena l‟alterazione

proprio degli equilibri costruttivi degli esterni, che in gene-

re facevano largo uso di finestre e ampie superfici vetrate.

E anche questa forse è stata una delle principali ragioni di

problematicità nel riuso di tali strutture, almeno fino

all‟epoca in cui soprattutto gli enti locali non hanno svi-

luppato progetti di realizzazione e di consolidamento di

spazi culturali di vario genere.

Biblioteche, teatri e auditorium, spazi espositivi, ecc. diffu-

sisi negli anni ottanta e novanta grazie all‟intervento pub-

blico, hanno potuto così incontrare una disponibilità di

strutture ed ambienti di medie dimensioni, magari prima

abbandonati o impropriamente utilizzati come magazzini,

laboratori, residenze di fortuna, ecc., in cui essere collocati,

anche in centri urbani minori, e ciò con un buon grado di

compatibilità rispetto alle preesistenze.

Molto più vario invece fu l‟utilizzo delle Case del Fascio

più piccole, soprattutto se collocate in frazioni o in conte-

sti molto decentrati. In questi casi infatti da un lato la qua-

lità architettonica, pur richiamando gli stilemi dell‟epoca,

era meno rilevante e dall‟altro la dimensione era talmente

contenuta che anche gli spazi interni potevano assomigliare

a quelli di una normale casa o villetta. Qui il riuso andò

dalla piccola stazione dei carabinieri, alla scuola d‟infanzia,

dal circolo ricreativo agli uffici del municipio.

Alla prima fascia dimensionale e funzionale appartengono

alcuni esempi nel territorio: Cesenatico, con la collocazione

nella Casa del Fascio restaurata della Biblioteca comunale;

Mercato Saraceno, con la riapertura di una sala teatrale di

discrete dimensioni e spazi collaterali variamente utilizzati;

Gambettola, dove nella Casa del Fascio è stato collocato

una spazio espositivo; Gatteo, dove la struttura ospita la

biblioteca comunale.

Del secondo tipo invece sono esempi la Casa del Fascio di

Galeata, dove ha sede il comune, quella di Santa Sofia, che

ospita la caserma dei carabinieri, quelle di Vitignano, San

Colombano e altre, dove è collocato il locale circolo ricrea-

tivo, quelle di Tontola e Pievequinta, trasformate da inter-

venti privati in unità abitative.