Alla base del progetto elaborato dal Comitato scientifico vi è la convinzione che il
totalitarismo, e il fascismo che ne è parte integrante, è un fenomeno storico dell’Italia e
dell’Europa contemporanee, che può e deve essere narrato soprattutto alle generazioni
più giovani ormai separate da poco meno di un secolo da quei tragici eventi.
Si deve raccontare il totalitarismo soprattutto per sfatare la convinzione diffusa
secondo la quale solo la
damnatio memoriae
verso un regime basato sulla violenza
politica e “razziale”, sulla sopraffazione politica, sulla negazione di ogni diritto
individuale e collettivo, che tanti lutti ha prodotto nel nostro continente, possa non solo
risarcire le vittime, ma prosciugare l’acqua nel quale potrebbe risorgere.
Narrare il fascismo è dunque una necessità, che si può perseguire senza scadere
nell’apologia, nell’«afascismo», nella superficialità divulgativa, nella retorica:
possediamo, infatti, le conoscenze storiografiche che consentono di restituire la
complessità di quel ventennio di dittatura totalitaria, di penetrarne i meccanismi di
potere e le chiavi del suo consenso di massa senza rischiare di confondere il giudizio
storico e quello etico-politico, senza scadere in una presunta oggettività neutrale; viviamo
in una società democratica stabile che ha la forza di confrontarsi liberamente e
consapevolmente con il suo passato, ancorché tragico, non solo per sapere da dove
veniamo, ma anche per produrre anticorpi culturali necessari ad impedire che quel
passato, seppur in forme nuove, si ripeta.
In sintesi, l’intento più ambizioso del progetto è quello di consegnare il fascismo alla
storia, fondando questo passaggio sul riconoscimento dell’effettiva dimensione storica di
un fenomeno che ha segnato profondamente e drammaticamente, come peraltro il
comunismo, l’intera storia del XX secolo, ma che si è concluso e che – come tale – non
può più tornare.
È la guerra l’evento originario di una “rivoluzione” di tipo nuovo, che si colloca fuori
dal perimetro ideale definito dall’idea di progresso e di emancipazione e che trova il suo
modello di riferimento nella rivoluzione dell’89, ma che non può essere sbrigativamente
liquidata, per il caso italiano, come semplice controrivoluzione. Da questo evento
originario deve partire comunque il nostro percorso narrativo: qui si trovano le “origini”
del fascismo. Accanto al processo di presa del potere che ha intrecciato illegalità e legalità
parlamentare, e all’analisi della trasformazione del regime in dittatura aperta e totalitaria,
si vuole analizzare compiutamente il rapporto tra il regime e la società italiana, il
consenso di massa alla dittatura soprattutto delle classi medie, l’ideologia, la natura e le
funzioni del partito unico, il ruolo della leadership di Mussolini, i caratteri della
modernizzazione generata dalle politiche totalitarie, dirigiste e corporative. Deve essere
ben chiaro che questo “viaggio in Italia” non è condotto per edulcorare la durezza
spietata della dittatura – basta fare riferimento alla dominazione coloniale per averne una
manifestazione esemplare – in una sorta di rievocazione bonaria di un comune “come
eravamo”, quanto piuttosto per penetrare i meccanismi profondi della fascistizzazione