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“È ora che si finisca di costruire sedi di enti pubblici secon-

do i canoni del Palladio, del Vignola e di Caio Sempronio,

come se il fascismo non fosse che un’umile filiazione di

antiche idee politiche e morali”.

1

Tale rivoluzionaria affer-

mazione era contenuta nella premessa generale che apriva

il bando di un concorso per tre diverse tipologie edilizie di

Case del Fascio: una competizione estesa a tutte le Scuole di

Architettura del Regno e indetta dal gruppo di propaganda

del Fascio Giovanile Bolognese e dalla redazione del quoti-

diano

L’Assalto

e ivi pubblicato il 12 marzo 1932. Il concor-

so fu suggerito da Leandro Arpinati, originario di Civitella

di Romagna, fondatore nel 1919 del Fascio di Bologna e

il primo ad istituire a pochi giorni dalla marcia su Roma,

nel novembre del 1922, una sottoscrizione per l’acquisto

nella città felsinea del rinascimentale palazzo Fava, al fine di

ristrutturarlo e adibirlo a sede delle organizzazioni federali

fasciste.

2

Le funzioni di quella che fu in Italia la prima Casa

del Fascio venivano dallo stesso Arpinati così elencate: sala

di ritrovo, biblioteca, sala di scherma e di educazione fisica,

un teatro, una scuola, un ristorante ed infine stanze per gli

uffici del fascio, delineando in realtà quell’organizzazione

funzionale e spaziale che apparterrà più alle case dell’ONB

(Opera Nazionale Balilla) che a quella vera e propria delle

Case del Fascio. Dal 1922 al 1932 le organizzazioni fasciste

andavano via via occupando gli edifici che erano stati pre-

cedentemente le sedi delle case del popolo e delle camere

del lavoro, adattandosi agli spazi trovati, mentre le Case di

nuova progettazione venivano costruite senza una precisa

distribuzione funzionale e a seconda delle dimensioni e

dei luoghi e con caratteristiche monumentalizzanti e co-

munque eclettiche, rivelandosi spesso come grossi pasticci

linguistici. Il tradizionalismo costruttivo portava ad usare

stilemi propri del medioevo e del rinascimento, soprat-

tutto in area toscana ed emiliano-romagnola, supportati

dall’esternazione lapidaria di Arpinati che stigmatizzava

sulle colonne del quotidiano

L’Assalto

, che la Casa del Fa-

scio doveva essere “aristocratica” e intesa come “la loggia dei

cavalieri trecenteschi e come i palazzi dell’età comunale” e

doveva sorgere nel centro della città “per dominarla”.

3

A

Forlì nel 1925, venne scelto come sede delle organizzazioni

fasciste il centralissimo quattrocentesco palazzo Albertini,

che per l’occasione fu restaurato nei suoi interni dall’archi-

tetto milanese Ariodante Bazzero, professionista di fiducia

dei conti Orsi Mangelli.

4

Uno dei primi esempi architetto-

nici e forse il più eclatante e al limite del grottesco, resta la

Casa del Fascio di Ponte a Signa nei pressi di Firenze, dove

nel 1927 l’eclettico Adolfo Coppedè lasciava forse la sua

più inquitente creazione: un irripetibile assortimento di

simboli a cui si accompagnavano ai lati due colonne (paro-

dia della colonna Traiana) che producevano un’immagine

alquanto inconsueta.

5

Il concorso promosso nel 1932 dal Fascio di Bologna, si

Idee per una Casa del Fascio tipo: il Concorso del 1932 e successive realizzazioni

1

Concorso fra gli studenti delle Scuole

Superiori d’Architettura del Regno per tre

tipi di Case del Fascio

, in “L’Assalto”, 12

marzo 1932, p. 1.

2

La Casa del Fascio Bolognese di Com-

battimento,

in “L’Assalto”, 31 ottobre

1923, p. 3.

3

La nostra casa sorge nel cuore della città

per dominarla

, in “L’Assalto” 16 giugno

1923, p.14.

4

U. Tramonti, L. Prati, (a cura di),

La

città progettata. Urbanistica e architet-

tura fra le due guerre, Forlì, Predappio

Castrocaro

, Casma, Bologna 1999.

5

C. Cresti,

La cancellazione dei simboli

del Fascismo

,

in S. Van Riel, A. Ridolfi

(a cura di) “La conservazione della ar-

chitettura moderna. Il caso Predappio:

fra razionalismo e monumentalismo”.

Valbonesi, Forlì 2005, pp. 13-27.