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nelle varie formule, «onore al duce», «forza e onore» e via così. Poi ci sono quelli che implorano il ritorno di Lui

«contro i politici corrotti». Pagine e pagine scritte fitte.

Spesso con grafie di ragazzi. Che accanto alla parola duce mettono un cuoricino. C’è spazio anche per qualche

suggerimento postumo: «Non ti dovevi alleare con Hitler». E poi fiori, nastri tricolori, e decine di quadretti appesi sul

muro dai camerati: Reggio Emilia, Massa, Pistoia, nazionalisti camuni.

Come in tutti i pellegrinaggi, il programma contempla lo shopping. «Ma si vende poco» sbuffa Enrico Pompignoli,

uno dei negozianti, in maglione nero e toppa Me ne frego sul braccio. «Il museo? Non ne faranno nulla, ma se il

sindaco ci riesce ho un sacco di cimeli che sono pronto a dare».

Il sindaco questi negozi non li ama. «Ci sono entrato solo una volta, per accompagnare Pippo Baudo a fare una

trasmissione, per me l’immagine di Predappio va tolta dalle mani di nostalgici e commercianti». Però racconta:

«Quando ero consigliere comunale, ho anche fatto decine di interpellanze per farli chiudere. Oggi penso che cacciarli

sarebbe sbagliato. Una cosa fascista, ecco».

Essere il sindaco di Predappio può essere imbarazzante. «Una volta, a Venezia, una signora che vendeva accendini con

il Duce mi ha buttato le braccia al collo quando le ho detto chi ero. A Bari volevano offrirmi il pranzo. Mentre a

Forlimpopoli nel 2010 mi sono trovato 300 persone che mi davano del fascista». Molto è cambiato dagli anni 70,

quando, ricorda Giunchi, «si facevano i posti di blocco per non far arrivare i fascisti in paese. Una volta esplose

persino una bomba vicino alla cripta».

Mentre adesso, giura Frassineti, c’è molta gente che viene più per curiosità storica che per fanatismo: «Se c’è un posto

giusto per riflettere sul fascismo quello è Predappio. E Renzi mi ha detto vai avanti». Inoltre, dettaglio non trascurabile

in tempo di tagli al bilancio, il museo dovrebbe far arrivare soldi nelle casse comunali.

Il sindaco insiste: «Capire non vuol dire perdonare e dopo 70 anni certi tabù sono caduti». Ma non è così facile. Per lo

scrittore Massimiliano Griner (Anime nere, La banda Koch, La legione Ettore Muti), «l’Italia è un museo a cielo

aperto delle cose fatte dal fascismo, basterebbe indurre la gente a visitare quelle. L’idea di un museo mi sembra

limitativa e poi sono curioso di capire chi farà la direzione artistica di un posto del genere».

Cauta l’Anpi: «Va definito il progetto, l’importante è che non si scada nell’apologetica del fascismo» dice il

vicepresidente Luciano Guerzoni. «Anche se» assicura lo storico Marcello Flores, che di fascismo parlerà nel corso del

festival sui totalitarismi, «l’Italia è matura e un’iniziativa del genere contrasterà il pellegrinaggio. Dopo avere visitato

un luogo del genere, guarderanno i negozi per nostalgici con disgusto».

Nel frattempo il Comune ha aperto ai visitatori la casa natale di Mussolini per una mostra sul duce da giovane (quando

era ancora socialista), mentre un imprenditore di Lodi, Domenico Morosini, ha comprato Villa Carpena, dove il duce

incontrava donna Rachele e i figli, e l’ha trasformata in un museo. Dentro, cimeli a iosa. Nel giardino, un Babbo

Natale in camicia nera. Costo della visita 8 euro. «Ma le cose non vanno bene, ci imbrattano i manifesti e ci hanno

anche spaccato i lampioni. Siamo in liquidazione e per aggiustare il tetto mi toccherà vendere la Ferrari». Caro lei,

quando c’era Lui certe cose non succede

vano.