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3/5/2014
"Io, sindaco Pd vi spiego perché a Predappio serve il museo
del Duce"
Jenner Meletti
PREDAPPIO (FORLÌ) . Inutile insistere. Sulle rotonde prima del paese mettono mucchi di barili di vino e scrivono
che «Predappio è il paese del sangiovese». Ma in Italia — e anche in mezza Europa — tutti sanno che questo è il
santuario del turismo in camicia nera. Chi arriva qui prima va a fare il saluto romano davanti alla tomba di Benito
Mussolini poi entra in un negozio di "souvenir" e compra un manganello con le scritte «Nel dubbio mena » o «Me ne
frego». «E io, sindaco Pd — dice subito Giorgio Frassineti, renziano — vado anche a proporre un museo sul fascismo
nell'immensa Casa del Fascio che sorge proprio in piazza. Forse voglio farmi del male, ma credo di avere ragione.
Fino ad oggi abbiamo delegato il racconto della storia di Mussolini e di Predappio ai commercianti che vendono
gagliardetti e camicie nere. Contro questo ciarpame l'unica nostra arma è la cultura. Voglio un luogo dove si possa
raccontare come Benito, un ragazzo nato qui nel 1883, sia diventato Mussolini. Voglio un posto dove sia narrato il
secolo terribile, il ‘900, con una luce puntata sul Ventennio. Spero di essere capito». Non è facile fare il sindaco. A
Predappio è un'impresa. «In questi cinque anni da primo cittadino sono arrivate televisioni e cronisti da mezzo mondo.
Sono stato insultato da Le Monde e dal New York Times, dal Guardian... El Pais ha scritto che io sono un sindaco che
"no tiene los huevos", e le uova non sono certo quelle delle galline. Tutti scandalizzati per i negozi con i calendari del
Duce, per i saluti fascisti nelle strade e nella cripta. Dalla Liberazione ad oggi in Comune c'è sempre stata la sinistra. E
un'amministrazione di sinistra — sbagliando — nel 1994 ha concesso a quattro commercianti di aprire i loro negozi di
ciarpame nero. Con le leggi di allora poteva impedirlo e non l'ha fatto. Ma a Predappio ci sono i Carabinieri, la Polizia,
la Finanza. La Digos è sempre qui… Io, come sindaco, non posso fare leggi ma solo regolamenti. I miei vigili vanno a
controllare le vetrine, perché non siano esposti oggetti inneggianti al razzismo o che insultino la Shoah. Di più non
possiamo fare». La Casa del Fascio, adesso, è un'enorme "piccionaia" di tre piani, ottocento metri quadri a piano,
opera dell'architetto Arnaldo Fuzzi. Ci vivono i colombi, fra mobili rotti e marmi spezzati. «Lo Stato è pronto a cederla
al Comune se c'è un progetto valido. Ma intanto, solo per restaurarla, servono cinque o sei milioni, cifra impossibile
per un Comune con 6.507 abitanti. Abbattere non si può, visto che se tirassimo giù i palazzi fascisti sparirebbe
Predappio. L'idea del museo mi è venuta nel 2011 a Braunau am Inn, in Austria. Lì è nato Hitler. Il sindaco mi chiamò
e mi disse che voleva organizzare un incontro con le città che hanno "una memoria non voluta". Assieme a noi, era
chiamato il sindaco di Gori, vicino a Tiblisi in Georgia, dove nacque Stalin. Non volevo andarci, già ero stato accusato
di voler "riabilitare" Mussolini. Ma poi seppi che il convegno era progettato da una persona insospettabile: il
produttore di film americano Branko Lustig, che entrò ad Auschwitz a 12 anni e fu l'unico sopravvissuto della sua
famiglia. È l'uomo che ha finanziato anche Schindler's list. Io dissi che se non si affronta l'analisi storica di un
fenomeno come il fascismo, questo rischia di riemergere. Fui applaudito anche da Lustig». Come sarà il museo? «Non
sono uno storico ma un geologo. Penso però che dovrà essere raccontato tutto il fascismo, con la ricostruzione e la
rappresentazione dell'intera dittatura. Noi abbiamo già iniziato il lavoro. Nella casa natale è ancora aperta una mostra
su "Il giovane Mussolini", che racconta gli anni fra il 1883 e il 1914. È curata da storici e ricercatori di sinistra ed è
molto visitata, e non dalle persone che vanno al cimitero con la camicia nera. C'è davvero chi vuole capire come un
bambino battezzato con i nomi di Benito (come Juarez, primo indio diventato presidente del Messico), Amilcare
(come Cipriani, rivoluzionario e garibaldino) e Andrea (come Costa, fra i fondatori del socialismo) sia poi diventato il
dittatore fucilato a Dongo». Manganelli e tomba del Duce restano invece le mete dei nostalgici. Anche in questi giorni
sono numerosi, perché il 28 aprile c'è stato il 69esimo anniversario della morte. Nella cripta — proprietà della famiglia
Mussolini — sembra di essere al bar. C'è chi si fa il "selfie" accanto al busto sulla tomba, chi si fa fotografare
(«Aspetta un attimo, mi tolgo il giaccone così si vede la camicia nera») e poi dice: «Mandala subito ai camerati di
Bergamo ». «Peccato, non si può andare a vedere la Madonna del Fascio». C'è anche questa, una povera Maria
Vergine con angeli e fascio littorio, ma è nell'asilo comunale Santa Rosa, ancora pieno di bambini e gestito dalle suore
Orsoline di Gandino. Forse potrà traslocare al museo, per raccontare i tempi in cui i preti reclutavano Madonne
fasciste e Lui era l'uomo della Provvidenza. Tris di cappelletti, lasagne e tagliatelle, salsicce e braciole alla griglia.
Bottiglie di sangiovese. Un ultimo saluto romano dal finestrino dell'auto. «Fermati, che compro un bavaglino per mio
nipote ». Sopra c'è ricamato: «Boia chi molla».