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20/04/2014
La memoria del fascismo è un aiuto alla democrazia
I musei sul periodo mussoliniano servono a scrivere la biografia dell’Italia. E a mettere in soffitta la
nostalgia e l’apologia del regime
Ieri Il Giornale ha pubblicato un lungo reportage di Luigi Mascheroni da Predappio. Nella città natale di Benito
Mussolini il sindaco Giorgio Frassineti, del Pd, vorrebbe trasformare la casa del Fascio (bellissima dal punto di vista
architettonico, ma abbandonata da anni) in un museo del Fascismo: il primo in Italia. L’idea è sottrarre la città del
Duce ai pellegrinaggi dei nostalgici e istituire un museo – senza apologia né celebrazioni, ma rigoroso la punto di
vista storico – per cercare di capire come fu davvero l’Italia fascista. Sull’argomento oggi interviene lo storico
Roberto Chiarini.
Perché ricordare il fascismo aiuta la democrazia
Roberto Chiarini
Dal proprio passato non si sfugge. Si può tentare di rimuoverlo, ma allora esso in genere torna sotto forma di un
incubo. Oppure si può decidere di affrontarlo di petto, di elaborarlo – come s’usa dire. E’ l’unico modo, questo, per
non restarne prigionieri e, forse, per riuscire ad impadronirsene. Se la sfida si gioca singolarmente, spesso non c’è
scelta. Il peso, la lacerazione, il trauma del ricordo può risultare insopportabile. La rimozione allora diventa una via
obbligata. Quello che è praticabile a livello individuale, pur con i pesanti costi psicologici che comporta, non lo è però
per la collettività. Per una comunità la cancellazione, o il silenzia mento, del passato, oltre ad essere impossibile, è
controproducente. Finisce infatti col consegnare la sua memorizzazione a quanti quel passato non hanno alcuna
intenzione di passarlo all'oblio, ma anzi lo rivendicano come un tassello prezioso della propria identità. Oscuramento
versus nostalgia è la dissociazione irrisolta della memoria di cui diventa preda una nazione che non sa, o non si decide
ad affrontare con spirito critico un passato ingombrante o traumatico. È il destino puntualmente riservato alla memoria
del fascismo. Essendo stata assunta la lotta di Liberazione come evento/mito fondante e legittimante della Repubblica,
era inevitabile che la sua rappresentazione divenisse occasione di riti e celebrazioni e per questa via finisse, in qualche
modo, monumentalizzata.
Finché si è trattato di compiere un'opera di storicizzazione, l'antifascismo ha avuto buon gioco. La dimensione
nostalgica non è stata in grado di conquistarsi un vero spazio né un significativo rilievo, anche per la pochezza della
sua elaborazione storiografica. Il vero incaglio per la cultura democratica s'è presentato al momento di passare dalla
storicizzazione alla musealizzazione del passato. Quanto sia imbarazzante e controversa la valorizzazione, anzi la
stessa persistenza, di un patrimonio urbanistico, architettonico o artistico riconducibile al fascismo, lo abbiamo
sperimentato ogniqualvolta si è riproposto il problema di quale assetto dare (se conservare, ristrutturare o abbattere) a
opere, monumenti, edifici dall'inconfondibile impronta fascista.
Ma le difficoltà maggiori si sono presentate al momento di affrontare la sfida di riservare al tema - peggio ancora se al
suo fondatore - un museo, o qualcosa di simile ad una narrazione iconografica/documentale. Riservare ad un
argomento o a un personaggio uno spazio espositivo in cui attraverso materiali, documenti o testimonianze si
ripercorra un'epoca o una biografia è evidente che comporta il rischio di erigerne un monumento, ossia che si finisca
col trasmettere al pubblico una ricostruzione apologetica o comunque edificante. Tanto più se il museo viene eretto in
luoghi identificatisi nell'immaginario collettivo - com'è il caso di Predappio, Salò, Dongo per Mussolini - con la
vicenda umana e politica del personaggio biografato.
Eppure, bisognerà pur risolvere una buona volta il quesito: se lasciare cioè che i luoghi, gli spazi, i monumenti
evocativi del regime fascista restino stabili occasioni di culto per gli inconsolabili nostalgici del duce e per i suoi
sempre risorgenti estimatori o invece se non convenga recuperarli alla memoria democratica della nazione
riconvertendo in un patrimonio positivo i segni di un passato negativo. Esiste già un ambizioso progetto europeo
(Atrium) che coinvolge ben diciotto partner istituzionali tra università, ministeri, organizzazioni governative, volto a
recuperare ad una riconsiderazione critica il patrimonio architettonico consegnatoci dai vari regimi totalitari. Si può
fare altrettanto con i musei. Si tratta di elaborare una memoria democratica di un passato che, per quanto (anzi, proprio
perché) ingombrante, imbarazzante, compromettente, non può essere eluso.
La scelta non è «se», ma «come» ricordare. Il ricordo non è mai neutrale. Può - anzi, in questo caso, deve - essere
critico. Per non cadere nell'apologetico o nel celebrativo basta assumere una scala di valori democratici e, con questo
impianto, costruire un racconto che faccia capire al fruitore il senso storico e la lezione politica dell'accaduto.