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IL QUADRO INTERPRETATIVO

che si è aperto tra storici e intellettuali di fronte al progetto del “Museo

del fascismo”, che continui a permanere nella coscienza collettiva europea,

e italiana in particolare, una permanente “attualità” del fascismo. Questa

attualità dipende non tanto dal fatto che sia all’orizzonte nello spazio

politico continentale il ritorno di una “soluzione fascista” quanto piuttosto

dal fatto che “fare i conti” con il fascismo, sia sul piano del’interpretazione

storica, sia su quello delle memorie pubbliche, si è rivelata un’operazione

più complessa del previsto, proprio per il peso di memorie divise e

contrapposte. Il nostro progetto vuole favorire il superamento di questa

permanente attualità; vuole consentire a quel “passato” di “passare”

attraverso l’elaborazione di un giudizio storico condiviso e maturo.

In sintesi, l’intento più ambizioso del progetto è quello di consegnare il

fascismo alla storia, fondando questo passaggio sul riconoscimento

dell’effettiva dimensione storica di un fenomeno che ha segnato

profondamente e drammaticamente, come peraltro il comunismo, l’intera

storia del XX secolo, ma che si è concluso e che – come tale – non può più

tornare.

Come si è detto, questo progetto al di là delle asprezze della discussione

di questi anni, non ha in effetti nulla di originale: in Germania, Russia,

Polonia, Portogallo, per non citare che alcuni paesi, si sta verificando un

percorso analogo, nel quale la costruzione di luoghi di interpretazione e

di ricerca svolge il ruolo di attivatore di una memoria consapevole, come

antidoto a ogni nostalgia e a ogni incertezza sul giudizio che una comunità

democratica debba dare su quel passato.

Anzi, per molti aspetti il progetto di centro di interpretazione di

Predappio colma una lacuna, un ritardo della cultura e delle istituzioni

italiane, mettendo in campo un’attenzione nei confronti del rapporto tra

la democrazia italiana e il suo passato fascista che deriva dal suo essere

una frontiera, un avamposto nel quale si misura, più che altrove, il peso

delle memorie divise e i nodi irrisolti che alimentano quella permanente

“attualità”.