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I PUNTI DI FORZA

STORIOGRAFICI

Il Comitato scientifico è stato consapevole che progettare un centro di

interpretazione del fascismo significava rendere esplicito il punto di vista

ermeneutico che sottende non tanto il centro di documentazione, quanto

soprattutto l’esposizione museale. Ogni narrazione infatti non è neutrale,

non solo dal punto di vista della tavola dei valori a cui fa riferimento, ma

anche, e soprattutto, da quello storiografico.

Il nostro centro proporrà una visione del fascismo che si colloca oltre il

“paradigma antifascista”, fortemente debitore del quadro interpretativo

elaborato dai militanti antifascisti durante gli anni feroci della repressione

e nell’esilio, che già dagli anni settanta aveva cominciato a mostrare tutti

i suoi limiti e tutte le sue aporie concettuali, ma anche ormai fuori dal

“revisionismo” defeliciano, che dopo notevoli spinte innovative sul piano

scientifico, si è venuto perdendo nei meandri di una presunta storiografia

“afascista” e nello sforzo di ridurre il fascismo a “mussolinismo”, a una

dittatura personale che copriva un debole e bonario “stato di polizia”, del

tutto diverso dal nazismo.

Per dare risposte nuove alla domanda di cosa è stato il fascismo italiano

abbiamo scelto 4 osservatori critici privilegiati:

1.Il fascismo appartiene al novero delle grandi correnti del pensiero

politico del XX secolo. La ricerca scientifica condivide ormai da tempo

la convinzione che dalle profonde trasformazioni innescate dalla Grande

Guerra avessero invaso lo spazio politico europeo nuove dottrine politiche

radicali, caratterizzare dal rifiuto dello stato di diritto e del parlamentarismo

in nome di una tavola di nuovi valori ideali e politici che ruotava attorno

al collettivismo, all’autoritarismo dirigista, al primato dello stato come

interprete e fondatore di una comunità organica, all’attivismo e al

nazionalismo, da cui si sarebbero generati la soluzione bolscevica e quella

fascista: molto diverse fra loro ma accomunate a una critica radicale della

democrazia e degli “inganni” del parlamentarismo. Questo nuovo profilo

ideologico del Novecento si colloca nelle interconnessioni tra guerra totale

di massa e crisi della democrazia: qui sta la genesi delle forze rivoluzionarie

che si incaricarono del compito di dissolvere la vecchia Europa liberale e

di ricostruire “ordini nuovi”, fondati sul controllo totalitario della società

da parte di élites radicali e fortemente politicizzate; qui sta anche l’origine

dell’irruzione della violenza politica di massa nello spazio politico. Il

fascismo si collocava dunque nell’ambito di un processo di radicalizzazione

politica, generata da quell’ “apprendistato alla politica di massa”, per dirla

con Furet, che per milioni di giovani si realizzò nelle trincee disseminate

in tutto il vecchio continente.

2.È la guerra, dunque, l’evento originario di questa “era rivoluzionaria”:

una “rivoluzione” di tipo nuovo, che si collocava fuori dal perimetro ideale

definito dall’idea di progresso e di emancipazione e che aveva trovato il

suo modello di riferimento nella rivoluzione dell’89, ma che non poteva

essere sbrigativamente liquidata come una semplice controrivoluzione.

In essa non solo si vennero delineando soluzioni diverse e contrastanti

alla crisi dello stato liberale e dei suoi strumenti di integrazione sociale,

imperniate sulla contrapposizione delle due idee guida di classe e nazione

– la prima propria del comunismo, la seconda del fascismo – che furono

in grado di incanalare in un nuovo quadro ideologico e istituzionale la

democratizzazione e la mobilitazione sociale messe in moto dal conflitto

mondiale. Da questo evento originario deve partire il nostro percorso

narrativo: qui si trovano le “origini” del fascismo.